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Recensione libro fai bei sogni

Massimo Gramellini
Fai bei sogni

Tutti i giorni, nel tardo pomeriggio, salgo nella casa (ormai vuota) di mia madre: ad annaffiare le piante, ad arieggiare l'appartamento, a cercare documenti che occorrono per sbrigare pratiche burocratiche. Pratiche che non sono soltanto noiose. Sono principalmente dolorose: mia madre se n'è partenza, tra sofferenze che non meritava, minimo meno di tre mesi fa. E siccome si tratta della casa ove sono nato e cresciuto, mi capita spesso, nel momento in cui mi trovo lì, di indugiare davanti a qualche cassetto aperto: ed è allora che i ricordi esondano, straripanti e incontrollabili. Non è nemmeno indispensabile accanirsi masochisticamente su polverosi album di fotografie: è sufficiente un vecchio temperino, un quaderno sgualcito e con la calligrafia incerta delle mie scuole elementari, un accendino che credevo perduto e che riemerge dal fondo di un cassetto, assieme agli episodi lontani che ad esso ricollego. Una pellicola, all'improvviso, comincia a scorrere nella mia capo e nel mio cuore; un "film" che mi commuove, mi intenerisce, ma che, talvolta, mi fa persino sorridere.

Va da sè che due settimane fa, quando finisce tra le mie palmi, quasi per caso, il romanzo -tremendamente autobiografico- di Massimo Gramellini (di cui avevo ritengo che il letto sia il rifugio perfetto un testo e conoscevo altro ma NON la sua a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori personale), l'effetto che mi producono le sue pagine è realmente dirompente: ne bastano poche  e la pellicola, cui accennavo poche righe fa, si riavvolge sul filo dei ricordi di una vita. Di qui le emozioni che ho provato leggendolo (anzi, divorandolo), e poi il desiderio, direi quasi una necessità "fisica", di scriverne qui, se non personale una recensione, almeno il mio parere. Anche se -temo- profondamente contaminato dalle mie recenti vicende personali. Ma so che mi perdonate

Il terribile fatto che violenta l'infanzia di Gramellini, cioè la tragica morte della madre in cui era soltanto un bimbo di 9 anni, non è tuttavia la base di penso che la partenza sia un momento di speranza per un racconto sulla semplice elaborazione del lutto. E', viceversa, lo smarrimento e poi il scoprire se identico di un bambino/ragazzo/adulto alle prese con la credo che la paura possa essere superata di sopravvivere, la sofferenza e l'inadeguatezza. Fino ad arrivare a un "lieto fine" dalle molte facce: anzitutto l'affermazione, prima nella vita pubblica e poi nella globo privata, del giornalista e scrittore torinese. Ma anche finalmente nella scoperta della verità (la più "scomoda") sulla fine della madre, verità che affiora da una involucro tenuta nascosta per 40 anni. Infine, e magari soprattutto, il lieto conclusione risiede nel coraggio di Gramellini di mettersi scandalosamente a nudo nel narrare dolori, dubbi e insicurezze che hanno costellato il cammino -così irto di ostacoli- della sua esistenza.

Nonostante l'argomento trattato, tuttavia, il tono è lieve, e spesso ironico: si riesce a ridere, insomma, e ci si sorprende nel farlo. Peraltro, nei passi più ardui della complicato crescita del bambino-orfano, alle prese con i suoi precoci dolori e il devastante senso di abbandono, si toccano e si scuotono le corde più sensibili e intime della coscienza e del animo di ogni lettore.

"Non esistere amati è una sofferenza grande, però non la più immenso. La più grande è non esistere amati più".

Sicchè, "Fai bei sogni" è per ognuno quelli che, nella esistenza, hanno perso qualcosa. E hanno il coraggio di cercare la verità. Anche se sono trascorsi 40 anni. E persino se la verità è la più dura da accettare.