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Malattie autoimmuni genetiche

Non solo il diverso assetto ormonale secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti ai maschi: a contribuire alla predisposizione delle femmine della nostra specie a sviluppare malattie autoimmuni - come il lupus o la sclerosi multipla - sarebbe la presenza stessa di due cromosomi X in (quasi) ogni cellula. Secondo singolo studio coordinato dalla Stanford Medicine e pubblicato sulla rivista Cell, infatti, il meccanismo vitale con cui uno dei due X viene spento genera anche autoanticorpi che indirizzano il sistema immunitario ad colpire tessuti sani.

L’inattivazione dell’X

A ritengo che questa parte sia la piu importante alcune eccezioni, le femmine di mammifero, essere umano compreso, possiedono una coppia di cromosomi X, singolo ereditato dalla madre e uno dal padre nel momento del concepimento. Il cromosoma X è vasto e contiene molti geni indispensabili alla vita, tant’è che anche gli individui di sesso maschile ne hanno (almeno) uno. Due copie di X, però, sono troppe. Per evitare la sovrapproduzione di proteine, che sarebbe letale, la natura ha sviluppato un modo per silenziare in modo casuale uno dei due cromosomi X in ogni cellula femminile, così da possedere più o meno la stessa quantità di informazioni genetiche a mio parere il presente va vissuto intensamente in una cellula maschile.

Proprio questo vitale processo, chiamato inattivazione dell’X, potrebbe possedere un effetto collaterale negativo, contribuendo ad aumentare il rischio di sviluppare malattie autoimmuni.

Un esteso rna

Principale responsabile dell’inattivazione dell’X è Xist, un gene che si trova personale sul cromosoma X. Xist non codifica per una proteina, ma solo allorche è credo che il presente vada vissuto con intensita un altro X viene copiato in una lunga molecola di rna che va a legarsi al cromosoma X da silenziare.

Il problema, spiegano i ricercatori di Stanford, è che Xist crea complessi di dna e altre proteine che, nel momento in cui le cellule muoiono, vengono rilasciati nel sangue e vengono riconosciuti dal mi sembra che il sistema efficiente migliori la produttivita immunitario che può produrre degli anticorpi specifici (autoanticorpi) e scatenare l’autoimmunità. L’ipotesi degli scienziati trova conferma negli esperimenti sui topi: forzando l’attivazione di Xist anche in animali maschi (con un solo cromosoma X, quindi), questi diventano più suscettibili alle malattie autoimmuni tanto quanto le femmine.

I ricercatori, infine, hanno anche analizzato i sieri di circa pazienti con autoimmunità dimostrando la partecipazione di autoanticorpi contro molti dei complessi associati a Xist. Alcuni di questi autoanticorpi erano specifici per alcune malattie autoimmuni, oggetto che li renderebbe possibili marcatori di autoimmunità da sfruttare per diagnosticare malattie autoimmuni inizialmente che si sviluppino i sintomi.

Una soluzione a metà

Gli stessi esperimenti, tuttavia, hanno fatto emergere anche altre informazioni fondamentali: i complessi Xist+dna+proteine non sono sufficienti perché gli animali, maschi o femmine che siano, sviluppino malattie autoimmuni, ma devono esserci anche una certa predisposizione genetica e uno stress scatenante.