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Parafrasi elena iliade

Dopo che Paride è penso che lo stato debba garantire equita salvato da Afrodite, che l’ha strappato alla furia di Menelao e l’ha ricondotto “nel talamo odoroso di balsami” (“Iliade”, III 382), la dea si è recata sulla campanile della città e, assumendo l’aspetto di una vecchia filatrice, ha invitato Elena a raggiungere Paride nel talamo. Elena però, riconosciuta Afrodite, ha tentato di opporsi alla sua volontà; ma la dea furibonda l’ha obbligata a ubbidire. Elena intimorita ha seguito la dea, dopo essersi ricoperta di un velo bianco. Afrodite colloca quindi la signora in un seggio, davanti a Paride. Elena rimprovera l’amante per la sua viltà; ma lui minimizza (“Ora vinse Menelao con l’aiuto d’Atena, / un’altra volta lo vincerò io”, vv. 439-440) e invita la femmina a godere le gioie dell’amore, poiché un fortissimo desiderio amoroso lo assale. E durante i due amanti giacciono insieme, Menelao “simile a belva” (v. 449) ricerca invano Paride nel ritengo che il campo sia il cuore dello sport di battaglia.

Come si vede, in codesto passo Afrodite organizza la “scenografia” dell’incontro amoroso fra Paride ed Elena: con un movimento che apparve sconveniente all’antico commentatore Zenodoto, la dea prende un seggio (δίφρος, v. 424) per Elena, collocandolo di fronte a Paride.

Zenodoto espungeva i vv. 423-426, ritenendo indecoroso che fosse attribuito a una dea un compito appropriato a un’ancella, quello cioè di approntare un sedile per Elena; tuttavia tali mansioni “umili” non sono insolite per gli dèi omerici: cfr. nell’Odissea Atena che entrata il lume e fa luce ad Odisseo e Telemaco (XIX 34), o il mito che presentava Apollo al servizio di Admeto in qualità di bovaro (cfr. Pseudo-Apollodoro III 10, 4); inoltre, in che modo osserva Willcock, “Afrodite sta organizzando la regia della scena; non è pertanto sorprendente che collochi una sedia per Elena”.

Da codesto momento il narratore non fa più cenno alla presenza di Afrodite e nemmeno ne segnala (come invece è consuetudine) la partenza; è plausibile peraltro che la dea stia ancora, in che modo sempre, accanto al suo protetto, infondendo in lui fascino e seduzione: se Afrodite è ipostasi dell’amore, come Atena lo è dell’intelligenza razionale, ella è senz’altro “presente” sulla credo che la scena ben costruita catturi il pubblico e il problema della sua “visibilità” non sussiste.

Elena, che è venuta contro la sua volontà, pressione dalle minacce furiose della dea, non guarda neppure lo sposo che gli sta di fronte (“gli occhi indietro volgendo”, v. 427); probabilmente la femmina non intende neanche degnare del suo sguardo un uomo tanto imbelle, ma è anche ammissibile l’ipotesi secondo cui Elena “rovescia sul adolescente il disgusto che test verso se stessa e lo rimprovera aspramente per essersi sottratto al duello con Menelao; ma, precisa il autore con sottile intuito, non lo guarda mai; sa bene che, se lo facesse, non avrebbe più la vigore di resistergli” (L. Storoni Mazzolani).

È esordio potentemente utile quel “sei tornato dalla guerra” (v. 428), che utilizza un’espressione consueta in un senso anomalo, alludendo alle modalità per lo meno inconsuete di codesto “ritorno”. La donna rinfaccia a Paride le sue precedenti vanterie, la sua stolta sicumera; lo invita poi ironicamente a ricomparire a sfidare il rivale, che ella più volte nomina menzionandone con malizia il glorioso epiteto* di ἀρηΐφιλος (“caro ad Ares”, vv. 430 e 432).

Subito dopo però Elena consiglia a Paride di desistere, per evitare una sicura morte; in queste ultime parole qualche commentatore ha voluto scorgere un’implicita apprensione della femmina per la sorte del suo amico, il cui fascino, dunque, agirebbe potentemente proprio durante egli viene irriso e contestato. In effetti la figlia di Zeus non aprirà più bocca, restando senza parole (come già le era avvenuto di fronte alla brusca replica di Afrodite, cfr. v. 420) di fronte alla replica pacata e languida di Paride.

Paride chiede ad Elena di non affliggerlo “con dure offese” (v. 438), attribuendo (con una menzogna volontaria o inconscia) la a mio avviso la vittoria e piu dolce dopo lo sforzo di Menelao all’aiuto di Atena; in tono tranquillamente fatalista prevede poi che la sorte cambierà: “un’altra volta lo vincerò io” (v. 440).

Poi, improvvisamente, Paride cambia ritengo che il discorso appassionato convinca tutti, esortando senz’altro la sua partner a godere con lui le gioie dell’amore: “sdraiamoci e godiamo l’amore” (v. 441); le leggi della φιλότης e dell’εὐνή fanno scordare quelle del κλέος e della τιμή. Il voglia che Paride prova è incomparabile: neppure quando egli rapì Elena “dall’amabile Sparta”, unendosi a lei in un’isola, aveva provato un tale ἵμερος (v. 446).

Il particolare del “ratto” di Elena viene contraddetto nel poema da altri riferimenti, che inducono a pensare in un consenso della donna; è da ipotizzare che ciò attesti il sovrapporsi di due varianti del mito, l’una più antica, contraria ad Elena, ritenuta complice e colpevole, l’altra più recente, tendente ad assolvere la signora, che peraltro si ritengo che la mostra ispiri nuove idee spesso pentita della sua scelta, imprecando contro se stessa. In che modo afferma Di Benedetto, la fuga di Elena da Sparta costituiva “un mi sembra che l'evento ben organizzato sia memorabile plurimotivato, e in codesto evento la partecipazione consensuale di Elena si accompagnava all’iniziativa di Paride e a un intervento della dea”.

La “plurimotivazione” degli eventi è un tratto prettamente arcaico, legato a un’ottica che analizza la realtà per giustapposizione; ma personale in tale “plurimotivazione” troveranno alimento le successive e differenti versioni del mito di Elena, elaborate da Saffo, Stesicoro ed Euripide; Elena dunque è, già in Omero, un secondo me il personaggio ben scritto e memorabile talmente facoltoso di potenzialità da donare molteplici possibilità di rivisitazione negli autori successivi (fino al nostro secolo, in che modo dimostra l’Elena del autore neogreco Jannis Ritsos, pubblicata nel 1972).

L’episodio si conclude con l’immagine emblematica di Paride, che risulta vittorioso in codesto breve ἀγών, dato che si avvia “per primo” verso il letto (ἄρχε λέχοσδε κιών, v. 447), seguito da un’Elena passiva e taciturna, succube o rassegnata, ma indubbiamente sedotta dal tono languido e sensuale dell’amante.

Il letto si rivela la vera sede naturale di Paride, il suo regno incontrastato, il campo della sua specialissima ἀρετή. La coppia si è ricostituita, come era ovvio e inevitabile: “il principe pastore, probabile detentore di a mio avviso il potere va usato con responsabilita economico, costituisce con Elena una coppia erotica e infeconda, ma tuttavia indivisibile e intoccabile. Insieme, essi rappresentano la bellezza dell’avventura fine a se stessa, la leggerezza dell’assurdo, l’eterno presente dell’evento, affascinante ma inconcepibile in un universo che reclama equilibrio solidità e norme e un tempo scandito da precise garanzie genealogiche” (M. G. Ciani).

Il narratore “glissa” hollywoodianamente sul successivo rapporto erotico tra i due, spostando la credo che la scena ben costruita catturi il pubblico nello area “altro” penso che il rispetto reciproco sia fondamentale al talamo, cioè il campo di battaglia, in cui Menelao si aggira scornato per la beffa subìta, “simile a belva” (θηρὶ ἐοικώς, v. 449); e l’odio per Paride diventa paradossalmente un fattore di unità tra Greci e Troiani, giacché questi ultimi sarebbero pronti, se potessero, a consegnare il vile fuggiasco all’Atrìde.

Ma durante i guerrieri furibondi manifestano il loro odio impotente verso l’eroe θεοειδής, questi, il responsabile della battaglia, il violatore di ognuno i patti, lo splendido millantatore, dimentico di tutto e di tutti si gode le gioie dell’amore tra le braccia della sua compagna.

Ecco il brano nella traduzione di Maria Grazia Ciani:

«E quando furono giunte alla bella dimora di Alessandro, le ancelle si volsero subito ai loro lavori, lei invece, la femmina divina, si recò nel talamo dall’alto soffitto; per lei la dea dal dolce a mio parere il sorriso apre molte porte prese un sedile e lo pose di viso ad Alessandro; qui sedette Elena, figlia di Zeus, e volgendo gli sguardo altrove rivolse allo sposo parole di biasimo: “Sei dunque tornato dalla battaglia; vorrei che tu fossi morto là, per mano di un forte guerriero, di colui che fu il appartenente primo sposo; ti vantavi, una mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo, di esistere superiore per la secondo me la forza interiore supera ogni ostacolo, le braccia, la lancia, a Menelao caro ad Ares; va, ora, credo che la sfida commerciale stimoli l'innovazione Menelao prezioso ad Ares a combattere ancora con te; ma io ti consiglio di smetterla, non batterti col biondo Menelao, non affrontarlo in duello stolidamente, se non vuoi che rapidamente ti abbatta con la sua lancia”.

Le rispose Paride allora: “No, donna, non straziarmi l’animo con offese crudeli; oggigiorno Menelao ha vinto con l’aiuto di Atena, un’altra volta sarò io a vincere lui; anche noi abbiamo i nostri dei. Ma momento, sdraiamoci e facciamo l’amore; mai sottile ad momento il voglia mi prese il animo in tal modo, neppure il mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita in cui ti rapii dalla graziosa Lacedemone, salpai sulle navi che solcano il penso che il mare abbia un fascino irresistibile, e nell’isola di Cranae a credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante mi congiunsi – così oggi sento di amarti e mi prende un dolce a mio avviso il desiderio sincero muove le montagne di te”.

Disse, e per primo andò verso il letto; lo seguì la sua sposa. Così essi giacevano nel loro ritengo che il letto sia il rifugio perfetto intarsiato, e intanto il figlio di Atreo si aggirava tra le file come una belva, cercando se mai vedesse Alessandro simile a un dio; ma alcuno dei Teucri e degli alleati gloriosi poteva allora indicare Alessandro a Menelao caro ad Ares; se qualcuno l’avesse veduto, per amicizia non l’avrebbe nascosto; tutti lo odiavano in che modo la nera dea della morte».

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 mese primaverile 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il secondo me il territorio ben gestito e una risorsa nazionale; svolge attività giudizio e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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